La valle del Rio Volpara, nella Laga marchigiana.

Nel piccolo lembo della Laga che esce dal dominio territoriale dell'Abruzzo e del Lazio.
Da Acquasanta una valle cambia tre toponimi, valle del Garrafo, valle del Rio della Montagna e sotto la Macera della Morte, valle del Rio della Volpara che viene originato dalla cascata della Volpara. Questa serie di salti che formano la più alta cascata della Laga e al ritorno quella più modesta ma più spettacolare della Prata sono gli obiettivi di oggi.


Oggi ci dirigiamo verso la Laga marchigiana, quel piccolo lembo di territorio che si incastra tra la Salaria e valle Castellana, intricato dedalo di confuse valli e boschi dell’acquasantano che si chiudono sotto la lunga dorsale di Costa Piangrano che sale alla Macera della Morte; rimaniamo bassi, andiamo a scoprire le Cascate della Volpara, non ci sono mai stato, e al ritorno, se c’è tempo faremo una piccola incursione alla cascata della Prata. Il regno dell’acqua, dei balzi di arenaria, del muschio, dell’isolamento più assoluto, almeno in questo periodo. Sulla Laga è difficile trovare sorgenti significative, l’impermeabilità dell’arenaria impedisce all’acqua di penetrare e accumularsi come accade alle vicine catene montuose per lo più calcaree; è invece facile trovare fossi e “balzi” rocciosi che una volta scavati dallo scorrere dell’acqua diventano spettacolari “scivoli” per ancora più spettacolari cascate. Quella della Volpara, è composta da una serie di salti, nessuno davvero maestoso, inizia da poco sotto la Macera della Morte e confluisce 600 m più in basso dove da luogo all’omonimo Rio; lo stesso nei pressi di Umito prende il toponimo di fosso della montagna e ancora più a valle, prima di gettarsi nel fiume Tronto quello di Rio Garrafo, profondo e suggestivo canyon che da solo merita una intera giornata di escursionismo. La cascata della Volpara è la più alta della Laga, peccato che dalla base non la si riesca ad ammirare il tutto il suo salto; gli affacci migliori anche se lontani, sono sul versante opposto della valle, dal Maularo o dalla cresta Est della macera della Morte, oppure per i più bravi, lungo una traccia che inizia a sinistra e sopra il primo salto, segue più o meno il profilo della cascata fino a puntare in maniera più decisa ma anche molto meno marcata la Macera della Morte (il versante è intricato e ripido, la traccia è davvero solo per escursionisti esperti e va verificato che sia ancora effettivamente aperta). La parte alta del Rio Volpara ha oggi perso il suo fascino, una enorme valanga scesa nello stesso periodo della tragedia del Rigopiano, ha scaricato a valle una massa enorme di terra e alberi che hanno sepolto gli scivoli e le tante piccole conche che nel periodo estivo erano di refrigerio per i più coraggiosi. Il percorso inizia un chilometro dopo Umito, il sentiero scorre sul lato sinistro del fosso, sulla destra orografica, da prima su una strada dove la segnaletica è presso che inutile tanto è netta, nella parte mediana su una traccia più sottile ma sempre evidente dove la segnaletica è molto più rada e sulla parte alta della valle su una traccia a tratti sparita ma talmente ovvia da non presentare problemi di orientamento. In questo periodo della stagione in auto si può superare Umito fino al limite della carrabile dove un piccolo spiazzo permette di parcheggiare, nel periodo estivo è fortemente consigliabile parcheggiare invece in paese e percorrere per intero la carrareccia lungo il Rio Volpara, pena impossibilità anche solo di rigirare l’auto. Ce la prendiamo molto comoda, Umito è alle porte di Ascoli, in quaranta minuti raggiungiamo l’inizio dell’escursione, superiamo le poche case del paese e l’indicazione del parcheggio, seguendo le bandierine bianco rosse e la carrareccia che segue il Rio Volpara per circa un chilometro, raggiungiamo il piccolo slargo dove parcheggiamo, un cartello esplicito di divieto a continuare non lascia altre possibilità. La strada segue in corso del torrente, si alza e si abbassa rispetto al pelo dell’acqua, diversi sono gli spunti per belle fotografie sul suggestivo scorrere dell’acqua e su fragorosi piccoli salti dove si formano cascatelle nei tratti più incassati del fosso; raggiungiamo l’incrocio per il sentiero che sale alla cascata della Prata (+40 min.) che sarà un possibile obiettivo sulla via del ritorno e per immutato ambiente raggiungiamo il rifugio delle Scalelle, ben protetto da un robusto lucchetto (+40 min.). Appena superato il rifugio la strada si restringe a sentiero, si alza e si distanzia dal letto del torrente, entra nel bosco dove una luce radente filtra e crea dei contrasti di luce incredibili, dove felci e muschi esaltano la bellezza e l’isolamento del posto. Continuando nel bosco sempre seguendo più o meno da vicino il letto del torrente si raggiunge l’antico bivacco da poco risistemato del Fornetto (+40 min.) “Lu Fernitte” nello slang locale, un locale adattato a ricovero sotto uno sperone di roccia, chiuso davanti in cemento e pietre e sul quale era stato ricavato a lato anche un piccolo forno a legna, da cui il manufatto prende il nome; il restauro a cura di un gruppo di volontari della comunanza agraria di Umito e dei paesi della valle di Pozza, Paggese e Montacuto è stato terminato di recente, nell’estate del 2020 ed è l’espressione di tutto l’amore e la passione che la gente del posto ha per il suo territorio. La parte alta della valle si allarga e si riempie di detriti, dal versante sinistro una gioiosa piccola cascata compie un salto di cinque metri con vari balzelli, si tratta del Rio D’Imito (+15 min.), il sentiero è confuso tra le cataste di tronchi che ricoprono il letto del fosso ma si riesce a seguire e a raggiungere agevolmente la base della cascatella, un angolo davvero suggestivo dove è stata posta anche una comoda e giusta panchina. Poco dopo la cascatella si riprende a costeggiare il letto del Rio della Volpara che in questo tratto è un lastricato di arenaria dove l’acqua scivola senza rumoreggiare; il sentiero si complica un po’, non ci sono più segnali e ci si affida alla traccia che rimane comunque evidente anche se un po’ incerta. Una valanga dalle dimensioni enormi che risale al tempo della tragedia di Rigopiano ha devastato il territorio ricoprendo il letto del rio della Volpara di metri e metri di detriti e alberi abbattuti, il versante sinistro della valle, quello destro orograficamente parlando è stato ripulito letteralmente e i segni sono ancora evidenti fino ad una certa altezza dove sono ancora ben visibili le cataste di alberi abbattuti, allineati e ammassati come fossero stuzzicadenti. Siamo quasi sulla testa della valle, le coste della Macera della Morte si alzano ripide, siamo praticamente sotto, non c’è segno della cascata e immagino che scenda dentro la diramazione secondaria stretta e ripida che si va infilando sulla destra dietro uno promontorio quasi isolato di Coste Cerasole, chiamarla valle non avrebbe senso perché a tutti gli effetti si tratta di un fosso. Il sentiero continua a tratti pulito e a tratti improvvisato, il territorio sconvolto ha fatto ridisegnare inevitabilmente anche la traccia, superato lo sperone di Costa Cerasole, li dentro quello stretto fosso che scende dall’alto e dove avevamo immaginato si inizia a capire il profilo della cascata della Volpara, dalle nevi su in cima una serie di salti la fanno chiudere a valle, a poche centinaia di metri dal nostro punto di osservazione. Alta, davvero altissima anche se non spettacolare; proviamo ad arrivare alla base, dobbiamo superare uno scivolo melmoso ricavato tra un groviglio di alberi abbattuti, è ripidissimo e scivoloso, qualche anima pia l’ha dotato di una corda per aiutarsi altrimenti non sarebbe stato facile superarlo senza scivolare; un fosso laterale da guadare in equilibrio su un grosso tronco e tra rovi e sparuta boscaglia raggiungiamo la base della cascata da dove inizia il Rio della Volpara (+55 min.), qui poco più di un rivolo e di certo inferiore alle aspettative. L’ultimo salto, o il primo se facciamo partire la cascata da qui, è basso, si confonde quasi tra tronchi rimasti in equilibrio e grossi massi, incassato come mi trovo ogni altra vista viene negata per cui provo a risalirlo ma il primo attacco si infrange su una parete verticale di rovi, sulla roccia umida non ci sono appigli per cui torno in dietro cercando di non scivolare sull’arenaria bagnata e infida e raggiungo Marina che era rimasta un po’ più sotto; si sale sulla destra del torrente, non la si può chiamare traccia è più un calpestio di qualcuno che ci ha provato. Ci provo, guado il torrente e mi avventuro sul lato opposto, qualche momento viaggio sospeso sopra intricati starti di rovi prima di raggiungere una irta paretina di una quindicina di metri, erbosa e scivolosa; per fortuna intorno tanta vegetazione, piccoli alberi sdraiati dalla forza dell’acqua o dalla neve offrono le giuste maniglie per salire, i bastoncini diventano un fastidio. Raggiungo con un po’ di fatica la parte pianeggiante, molto sopra il letto del fosso che sento solamente tanto è fitta e intricata la vegetazione che lo ricopre; davanti non va meglio, occorrerebbe un macete per farsi strada e tanta voglia di farlo. Mi accontento, cerco uno spiraglio per fare qualche foto che valgono forse meno di quelle scattate dal basso e dal versante opposto anche se più lontane. Intuisco però che forse salendo sul lato sinistro del fosso, tra il bosco e lontano dal salto si potrebbe guadagnare qualche spiraglio migliore per godersi la cascata ma per oggi va bene così, un giorno forse ci verrà voglia di provarci. Ritorno indietro, la discesa è agevole, ormai ero certo della resistenza degli alberi accanto allo scivolo erboso e li ho usati come mancorrente; raggiungo Marina che è ora di mettere qualcosa sotto i denti e di rilassarsi un momento in questo incastrato angolo di mondo. Ripartiamo puntando la cascata della Prata, il percorso a ritroso è lo stesso di quello di andata escluso il tratto intricato che abbiamo percorso sui lati del Rio; provenendo dalla parte alta della valle scopriamo una traccia più marcata che scorre parallela venti metri più in alto di quella della mattina, molto più comoda. Il rientro, complice il cielo che si è coperto di uno strato sottile di nubi è meno affascinante, la luce non filtra più tra la vegetazione e filiamo veloci senza distrazioni; questa traccia di rientro scorre anche sopra la cascata del Rio D’Intino, supera il fosso da dove si origina e si ricongiunge al sentiero dell’andata poco dopo. Anche provenendo da questa direzione non riusciamo a capire dove abbiamo perso la deviazione, il sentiero più evidente rimane quello che costeggia il torrente. Raggiungiamo l’evidente incrocio della deviazione per la cascata della Prata (+1,50 min.), il sentiero inizia subito ad inerpicarsi, per fortuna lo hanno attrezzato con grossi gradoni, il fondo melmoso rende in qualche tratto problematico salire; per ripidi tornanti, costeggia il Rio della Prata nei tanti scivoli fragorosi che lo caratterizzano, belli, davvero belli alcuni scorci e ricco di acqua è il fosso. Raggiungiamo la cascata (+16 min.) e guadagnandosi dei passaggi attraverso le rocce e il bosco si riesce ad arrivare proprio alla sua base; anche da sotto si riescono ad ammirare i tanti salti, quello totale è di una sessantina di metri, frequenti e più bassi quelli che la scompongono dandogli un aspetto di una fontana allegra e fragorosa. Sicuramente meno importante di quella della Volpara di certo è più scenografica ed appagante, forse anche solo per il contatto ravvicinato con cui la si riesce ad ammirare. Scattiamo tante foto suggestive che sono certo a casa ci restituiranno un niente delle sensazioni che vivevamo sul posto e riprendiamo la via del rientro; la discesa è vorticosa, ripida e scivolosa, conviene in qualche tratto affidarsi alle protezioni che sono state poste lungo il percorso. Raggiungiamo la piazzola dove abbiamo parcheggiato l’auto (+50min.) felici di essere venuti in questa valle; l’autunno scorso l’abbiamo sorvolata sulla cresta di San Paolo che la contiene a sinistra, quest’inverno sulla cresta che raggiunge la Macera della Morte e che la chiude, oggi seguendola lungo il fosso. Fa parte della scoperta del territorio dietro casa insomma, e siccome l’appetito vien mangiando, consultando la carta una volta rientrati a casa ho visto la traccia che dall’area di sosta supera il fosso della Montagna e si inerpica ai 1191 m. di monte Ungito e da li al monte Finarolo per raggiungere il monte Scalandro e il passo del Chino. Forse un percorso un pò “infrattato” ma chissà, forse ne vale la pena, come quello che poco dopo il Fornetto si diparte sulla sinistra (non credo sia facile trovare l’imbocco) per salire sulla Costa Cerasola e da li alla Macera della Morte; la curiosità è tanta e sognare costa poco. Un grazie ai ragazzi dell’acquasantano e in particolare ai ragazzi di questa valle che si danno da fare per tenere pulito, percorribile e in ordine questo sentiero, praticamente l’unico del versante marchigiano in terra di Laga.